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28 luglio

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E' online il PUZZLE della Superiora generale per il mese di AGOSTO 2014:

 

"Curare la bellezza degli ambienti della comunità e dell’apostolato con femminilità e sobrietà.

 

(Dimensione sacerdotale: n° 16, pag. 49)

 

 

Leggi il contenuto del Puzzle di Agosto

Pubblicato in 2014

 

Approfondendo la Decisione sullo stile di vita Atti dell’XI CG

Curare la bellezza degli ambienti della comunità e dell’apostolato con femminilità e sobrietà”.

 

(Dimensione sacerdotale: n° 16, pag. 49)

 

Per troppo tempo, la bellezza, è stata quasi mandata in “esilio” in un certo modo di capire e vivere la spiritualità e l’ascesi, nella vita cristiana. L’accento era messo specialmente sulla razionalità (imparare e conoscere la “verità”) e sulla volontà (esercitarsi nella “bontà”, nel “fare del bene ed essere buoni”). La “bellezza”, spesso confusa con la vanità ed il piacere, è stata “giudicata” quasi “pericolosa” per il vissuto e per l’osservanza della virtù, una perdita di tempo! Ma vediamo che, sia nella Bibbia, sia nei Santi, il tema della “bellezza” è stato sempre presente. Perché? Lascio rispondere al famoso Card. Martini, nella Lettera pastorale del 1999, “Quale bellezza salverà il mondo?” dice: “La bellezza di cui parlo non è dunque la bellezza seducente, che allontana dalla vera meta cui tende il nostro cuore inquieto: è invece la "bellezza tanto antica e tanto nuova", che Agostino confessa come oggetto del suo amore purificato dalla conversione, la bellezza di Dio; è la bellezza che caratterizza il Pastore che ci guida con fermezza e tenerezza sulle vie di Dio, che è detto dal vangelo di Giovanni "il Pastore bello, che dà la vita per le sue pecore" (Gv 10,11). E’ la bellezza cui fa riferimento san Francesco nelle Lodi del Dio altissimo quando invoca l’Eterno dicendo: "Tu sei bellezza!"… Non si tratta quindi di una proprietà soltanto formale ed esteriore, ma di quel momento dell’essere a cui alludono termini come gloria (la parola biblica che meglio dice la "bellezza" di Dio in quanto manifestata a noi), splendore, fascino: è ciò che suscita attrazione gioiosa , sorpresa gradita, dedizione fervida, innamoramento, entusiasmo; è ciò che l’amore scopre nella persona amata, quella persona che si intuisce come degna del dono di sé, per la quale si è pronti a uscire da noi stessi e giocarsi con scioltezza”.

Da questa bella citazione del Card. Martini prendiamo alcuni spunti per la riflessione di questo mese.

  1. La “bellezza” è Dio, la “gloria” è la bellezza di Dio. Mi vengono alla mente le parole che il Sacro Cuore ha rivelato a Don Orione nella nostra Casa Madre: “da qui partirà la mia gloria”; allora, “da qui partirà la mia bellezza”! Noi, PSMC, attraverso la nostra femminilità abbiamo la missione di far risplendere la “gloria” di Dio, cioè, la “bellezza”, la tenerezza, la misericordia di Dio. Questa “bellezza” diventa evangelizzazione, apostolato, annuncio del Dio di Gloria, di Colui che è “il più bello tra i figli dell’uomo” (Sal 45,3) e glorificheremo Dio con la nostra vita: “al re piacerà la tua bellezza” (Sal 45,12).
  2. La “bellezza” attira ed è gradevole. Nella scena della Trasfigurazione, gli apostoli che erano con Gesù, sperimentarono la gioia ed il fascino di quella “bellezza” mai vista e vollero restare lì: “Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende” (Lc 9,33). Una persona “bella”, una comunità “bella evocano la “bellezza” dell’essere e vivere con Lui, in Lui e per Lui. Una casa, una cappella, un’opera dove c’è ordine, armonia, pulizia, si rispecchia la “gloria” e la “bellezza” di Dio stesso. La “bellezza” di una fraternità che vive relazioni di apertura a Dio e all’altro, nell’amicizia, nella delicatezza, nel dialogo e nel perdono, nell’aiuto reciproco e la tolleranza, nella verità e nella bontà, è entusiasmante e attraente per le generazioni più giovani, ma è roccia ferma per la fedeltà e perseveranza delle più adulte e anziane. La “bellezza” è sorgente di speranza e di perseveranza.
  3. La “bellezza” salverà il mondo. Di nuovo risuonano le parole di Don Orione: “solo la carità salverà il mondo!” Se Dio è “bellezza”, se Dio è “carità”, allora, la “bellezza” è “carità”! La “carità” è “bellezza”! Dice ancora il Card. Martini: “Sento che ancora oggi la domanda su questa bellezza ci stimola fortemente: "Quale bellezza salverà il mondo?". Non basta deplorare e denunciare le brutture del nostro mondo. Non basta neppure, per la nostra epoca disincantata, parlare di giustizia, di doveri, di bene comune, di programmi pastorali, di esigenze evangeliche. Bisogna parlarne con un cuore carico di amore compassionevole, facendo esperienza di quella carità che dona con gioia e suscita entusiasmo: bisogna irradiare la bellezza di ciò che è vero e giusto nella vita, perché solo questa bellezza rapisce veramente i cuori e li rivolge a Dio”.

Rivediamo la bellezza della nostra vita, personale e comunitaria. Partire dalle cose più semplici: da noi stesse, dalla “bellezza” di un volto sereno e gioioso, dalla “femminilità e sobrietà” nell’ordine personale, negli ambienti comunitari, nelle nostre stanze, nei luoghi di lavoro e di apostolato. Partire dalla “bellezza” dei nostri gesti, pensieri e parole, delle relazioni fra di noi, con i laici, con gli amici, con i dipendenti. Rivediamo la “bellezza” della nostra preghiera, della musica, del canto, del silenzio e del dialogo. La “bellezza” è gentilezza, educazione, buoni modi, cordialità. La “bellezza” vuole uscire dal suo “esodo”, riempire la nostra Vita consacrata di nuova luce, di nuovo fascino. La “verità” e la “bontà” sono più splendenti se rivestite dalla “bellezza” che è “gloria”, che è anche “santità”. Ma questo l’avremo solo attingendo alla fonte della “Bellezza”, come Mosè, che scendendo dal Monte Sinai, “la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con Lui” (Es 34,29b).

Rivediamo quanto abbiamo di questa “bellezza”? Da quale “esodo” dovremo far tornare la “bellezza”? Come rendere tutte le dimensioni della nostra Vita consacrata, più “belle”? Quale legame c’è tra la “bellezza” e la “contemplazione”? Buona riflessione!

Pubblicato in Puzzle

30 giugno

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E' online il PUZZLE della Superiora generale per il mese di LUGLIO 2014:

 

Vivere i voto con stile comunionale come essere "liberi da" e "liberi per".

 

(Dimensione sacerdotale: n° 15, pag. 49)

 

 

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Pubblicato in 2014

 

Approfondendo la Decisione sullo stile di vita Atti dell’XI CG

 Vivere i voti con stile comunionale come essere "liberi da" e "liberi per".

(Dimensione sacerdotale: n° 15, pag. 49)

 

Riprendiamo, dopo la celebrazione delle Assemblee locali, la riflessione mensile sullo “stile di vita”. Il “pezzetto” di oggi ci colloca sul bel tema dei “voti” e, per ragioni ovvie di spazio, ci soffermeremo solo su due aspetti: la libertà e la comunionalità.

La libertà: leggiamo in GS 17: “la dignità dell’uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e indotto da convinzioni personali, e non per un cieco impulso interno o per mera coazione esterna. Ma tale dignità l’uomo la ottiene quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fine con scelta libera del bene, e si procura da sé e con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti”.

Allora, questo testo ci ricorda che la professione dei voti, è per noi un atto sublime di libertà e di “libera scelta del bene”. La professione dei “voti” non è fondamentalmente una “rinuncia”, una negazione o repressione della volontà, del possesso o della sessualità: i voti non sono un “no”, ma sono un “”. Un ad una “chiamata divina” e un “” di “risposta umana”, di decisione cosciente, di scelta libera, coerente e responsabile, scoperta come l’unica verità della propria vita. Questo “” implica le specifiche esigenze della vocazione e del carisma liberamente accolti e, quindi, le rinunce; include la verifica e il confronto con lo stile di vita assunto, in modo che “la scelta di vita presa nel momento della professione potrà essere un punto costante di riferimento e una chiave immutabile d’interpretazione per tutte le decisioni future[1].

Gesù è per noi il modello più perfetto di questa libertà. Lui, con le sue scelte, ci insegna che la libertà è piena nella misura in cui si dà spazio alla signoria di Dio su di noi e, quindi, la libertà proposta da Cristo fa un salto qualitativo dalla signoria del nostro spirito su noi stessi (autodeterminazione) a quella di Dio su noi: “il mio alimento è fare la tua volontà, o Padre”. Questa volontà lo porta a non lasciarsi opprimere da nessun condizionamento interno, esterno, sociale o religioso, fino ad accogliere la passione e la morte come massimo atto di amore e di coerenza con la scelta fatta: con il sì dell’orto, ci dimostra che, con la grazia di Dio e per opera dello Spirito, è possibile essere liberi, signori di sé, in qualunque situazione, anche le più opprimenti[2].

Alla luce di questa riflessione possiamo capire ciò che questo tema di oggi ci propone: “vivere i voti per essere liberi da e liberi per”. Solo vissuti con questo spirito e con questa consapevolezza i “voti” saranno per noi fonte di gioia, di felicità, di generosità, di libertà, di fecondità fraterna e apostolica. Altrimenti sarebbero per noi e per chi “ci vede” una “gabbia” che, prima o poi, ci renderebbe tristi, malate, egoiste, ipocrite e, quindi, non credibili né attraenti (Papa Francesco direbbe: “zitelle” con faccia di “peperoni in aceto”!).

Per ultimo, la comunionalità: “vivere i voti con stile comunionale”. La nostra scelta vocazionale ci colloca nel seno di una comunità: in una Famiglia religiosa, in una Provincia o missione, in una comunità concreta, in una Chiesa locale e in un’opera o servizio concreti. L’appartenenza alla stessa famiglia come PSMC ci inserisce in un “progetto carismatico” comune e liberamente accolto da ognuna. Non siamo delle “solitarie” o delle “single”, anche quando l’apostolato o la missione ci può chiamare in forma individuale o personale a svolgere qualche servizio, siamo sempre “parte” di un “corpo”. Anche se i nostri “voti” sono sempre una “risposta libera e personale”, sono comunque sempre inseriti nel vissuto di un corpo, di una comunità, di un carisma. “Liberi da”, è essere liberi dall’individualismo, dall’autoriferimento, dall’auto-eremitaggio, dall’isolamento… “Liberi per” è essere liberi per amare, per servire, per costruire, per dare vita e dare la vita.

Questo è lo “stile comunionale” al quale siamo chiamate attraverso la professione dei “voti”: lamore verginale che tende primariamente all’universalità, ad amare tutti creando e costruendo l’unità, che è fondamento della fraternità universale, è fare esperienza quotidiana di gratuità e disinteresse: è l’amore di amicizia che porta al puro dono di sé, libero, aperto e disponibile a tutti; la povertà che può esprimersi nella storia solo nell’autentica fraternità, che non solo sceglie il non-avere, ma il mettere tutto in comune nel piccolo gruppo e nell’umanità, che è solidarietà, compassione, testimonianza dei veri beni, quelli del Regno di Dio; lobbedienza che è libera disponibilità alla volontà salvifica di Dio e impegno, attraverso le mediazioni istituzionali, a compiere più pienamente la sua missione di servizio al Regno: la persona autenticamente obbediente secondo il vangelo è libera da sé e dalle proprie idee, per proporre o per cedere, assoggettandosi solo a Dio, nell’autentica disponibilità alla fraternità, alla sua Congregazione[3].

Condividiamo: quale formazione abbiamo ricevuto sul tema di oggi? Quanto già viviamo di questo stile “comunionale” e “libero”? Quali lacune troviamo ancora nel vivere i voti con questo stile? Buon incontro!

 


[1] Rodriguez Carballo J. ofm, segretario CIVCSVA, Fedeltà e perseveranza vocazionale, Rivista Testimoni, 6/2014, pag. 22.

[2] Cfr. Cappellaro JB, Spiritualità di comunione, La spiritualità dei consigli evangelici, EDB 2008, pag. 601 ss.

[3] Cfr. ibidem pag. 604-629.

Pubblicato in Puzzle
Sabato, 24 Maggio 2014 11:28

Terra Santa: inizia il viaggio del Papa

24 maggio

 

Arrivo di Papa Francesco in Giordania

A cinquant'anni dallo storico viaggio di Paolo VI, è iniziata la visita in terra Sante di Papa Francesco.

Questa mattina il Pontefice è arrivato ad Amman, prima tappa del suo viaggio, accolto alla scaletta del suo aereo da alcuni bambini, che hanno regalato al Papa un'orchidea nera, simbolo della Giordania.

Il suo arrivo è stato accolto dal rappresentante di Re Abdallah II, il Principe Ghazi bin Muhammed, dal Patriarca di Gerusalemme dei Latini, mons. Fouad Twal, e dal Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa. Erano presenti all'aeroporto anche il Nunzio Apostolico, mons. Giorgio Lingua, l'arcivescovo greco-melkita di Petra e Filadelfia, mons. Yaser Rasmi Hanna Al-Ayyash, l'arcivescovo di Baghdad dei Latini, mons. Jean Benjamin Sleiman, il Vicario latino per la Giordania, mons. Maroun Elias Lahham, il segretario generale dell'Istituto di Dialogo Interreligioso di Buenos Aires, Omar Ahmed Abboud.

Il viaggio del Pontefice sarà molto intenso e durerà 3 giorni, nel corso dei quali tra Giordania, Palestina ed Isarele visiterà i luogo simbolo della cristianità. Ma il viaggio sarà anche occasione per incontrare capi di stato, persone e volti che vivono la particolare situazione dei territori che lo ospiteranno.

Infine, domenica Papa Francesco arriverà a Gerusalemme dove avrà un incontro privato con il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli a cui conseguirà la firma di una dichiarazione congiunta. Il viaggio si concluderà con una Celebrazione Ecumenica in occasione del 50° anniversario dell’incontro a Gerusalemme tra Paolo VI e Atenagora nella Basilica del Santo Sepolcro 

Come richiesto dal santo Padre attraverso il suo account twitter @pontifex accompagniamolo con le nostre preghiere in questo pellegrinaggio in Terra Santa.

Segui il viaggio di Papa francesco in Terra Santa su news.va

Per approfondimenti leggi l'intervista al Patriarca ecumenico Bartolomeo

Pubblicato in 2014

27 marzo

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E' online il PUZZLE della Superiora generale per il mese di APRILE 2014:

 

Educare a valorizzare il silenzio come ascolto di Dio e dell'altro.

 

(Dimensione sacerdotale: n° 14, pag. 49)

 

 

Leggi il contenuto del PUZZLE

Pubblicato in 2014

 

Approfondendo la Decisione sullo stile di vita Atti dell’XI CG

 

Educare a valorizzare il silenzio come ascolto di Dio e dell'altro.

(Dimensione sacerdotale: n° 14, pag. 49)

 

Il “pezzetto” di questo mese è provvidenziale perché, arrivando nel tempo di Quaresima, può dare luce e senso ai tempi di “silenzio” organizzati come “penitenza”. Ed è proprio questa la domanda: il “silenzio” nella vita spirituale è una “penitenza”? Certamente, se è inteso come un mero astenerci del parlare; per qualcuna potrebbe essere un sacrificio o una penitenza. Ma, è questo il vero significato e senso del “silenzio”?

Nella Bibbia il “silenzio” costituisce lo “spazio”, il “luogo” della “teofania”: “Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo corso, la tua parola onnipotente si lanciò dal cielo, dal tuo trono regale” (Sap. 18, 14-15). Il “silenzio” è il “luogodell’ascolto e dell’incontro: il “mormorio di vento leggero” nel quale Elia capì la presenza di Dio (cfr. 1Re 19,12ss.). Il “silenzio” fecondo di Maria, che ascolta, incontra e accoglie l’annuncio dell’Angelo (Lc 1,26ss.): e il “silenzio” si fa “Parola incarnata”.

Oggi viviamo in una cultura del “rumore”, della “chiacchiera”, degli “auricolari” e abbiamo bisogno di una nuova “educazione” al silenzio.

Il tema di oggi: “educarci a valorizzare il silenzio come ascolto di Dio e dell’altro”, è lontano dal concetto di “silenzio” come mutismo, isolamento, incomunicabilità, indifferenza; insomma, come una “norma ascetica” sterile, fredda, in qualche caso anche “comoda”. Il “silenzio come ascolto” implica vigilanza, attenzione, apertura, contemplazione della presenza e della voce di Dio, della presenza e della voce dell’altro/a.

Quindi, non si possono mai separare “silenzio-ascolto-parola” e, anche se sembra paradossale, “della profondità del silenzio e della parola si alimenta sia il dialogo che la sua autenticità e la comunione che ne è frutto… L’ascesi comunitaria del dialogo è il progressivo cammino sia verso il silenzio di sé e l’accoglienza dell’altro, sia verso la comunicazione/dono di sé e la comunione vicendevole[1].

Educarci a questo vero “silenzio” non è una cosa semplice, è un’ascesi che chiede sforzo, costanza, metodo, dinamiche, esercitazione. Il “silenzio” “indica il grado di interiorità a cui le persone possono arrivare, e quindi di autonomia, libertà e identità che possono raggiungere. Il silenzio è misura della personalità[2].

Esistono diversi livelli di silenzio: a. il silenzio fisico (esteriore, stare zitti, che implica controllo e dominio di sé o semplicemente per buona educazione o temperamento); b. il silenzio biopsichico (frutto del ridurre a impotenza, a passività, le reazioni istintive della sensibilità: sentimenti di antipatia o simpatia, piacere o dispiacere, rigetto o attaccamento, depressione o euforia; le tendenze spontanee: ira, violenza, impazienza, durezza, rigidità, lussuria, autosufficienza, vanità, orgoglio, ecc.); c. il silenzio spirituale (frutto del ridurre a passività le tendenze istintive dell’intelligenza, della volontà, dell’affettività[3]. Allora sì, avremo quello “spazio” per l’ascolto di Dio nel quale “Iddio parla, Iddio ara le anime, Iddio lavora in noi, plasma il nostro spirito: Iddio vivifica, Iddio rischiara e lo splendore di Dio sta sopra di noi[4], e avremo quello “spaziodi ascolto e accoglienza dell’altro/a che ci renderà “segno dell’amore trasformante che lo Spirito Santo infonde nei cuori più forte dei lacci della carne e del sangue[5].

Educarci a questo “silenzio” è anche educarci alla “parola”, all’ascesi del dialogo. Il “silenzio” di Maria nell’Annunciazione generò la Parola, il “silenzio” di Maria nel Cenacolo generò la Chiesa. Così dal “silenzio” nasce anche la comunità. “Silenzio e parola sono così: a) i canali attraverso i quali si edifica o si distrugge la relazione interpersonale e comunitaria; b) i canali attraverso i quali si esprime, o non si esprime, la propria interiorità, e di conseguenza si crea, o non si crea, la comunione; c) i canali attraverso i quali si dà spazio a Dio nella relazione in quanto tale. Nel dialogo si comunica reciprocamente l’amore e la vita di Dio. Così il silenzio e la parola costruiscono: l’amicizia come fatto umano e teologale, la comunione con Dio e in Dio, e l’unità mistica, vale a dire la maturità ecclesiale della comunità[6].

Analizziamo personalmente e comunitariamente i nostri “silenzi” e il nostro “silenzio”. Quante “parole” vere, belle e buone, generiamo nel “silenzio” e le comunichiamo agli altri/e? Quanti “silenzi” falsi, comodi, complici, aggressivi viviamo lungo la giornata e quali “parole” infeconde si generano da questi “silenzi”?

Comeeducarci al silenzio come ascolto di Dio e dell’altro”? Quali dinamiche e metodi possiamo utilizzare per maturare un vero “silenzio spirituale” che sia “canale” di relazioni nuove? Buon dialogo!

 


[1] Cappellaro JB, Spiritualità di comunione, Parte IV, La spiritualità del dialogo: Silenzio e parola, EDB 2008, pag. 776 ss.

[2] Ibidem, pag. 777.

[3] Ibidem, cfr. pag. 777.

[4] PSMC Costituzioni, Vita di preghiera, pag. 63; Don Orione 8-12-1922.

[5] Ibidem, Art. 49.

[6] Ibidem, Cappellaro JB, pag. 783.

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03 febbraio

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E' online il PUZZLE della Superiora generale per il mese di FEBBRAIO 2014:

 

Avvalersi dell'accompagnamento spirituale come strumento di discernimento, di confronto e di crescita nello Spirito.

(Dimensione sacerdotale: n° 13, pag. 49)

 

 

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Pubblicato in 2014
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Approfondendo la Decisione sullo stile di vita Atti dell’XI CG


Avvalersi dell’accompagnamento spirituale come strumento di discernimento,

di confronto e di crescita nello Spirito.  

                                                                                                                                 (Dimensione sacerdotale: n° 13, pag. 49)

 

Il tema di questo mese è in continuità con il precedente nel quale abbiamo visto l’importanza del discernimento nella nostra vita personale, comunitaria e apostolica. Ma, la realtà è che “discernere” non è una cosa scontata. Possiamo utilizzare la parola ma, in realtà, non aver praticato mai “verodiscernimento. Il n° 13 della Decisione sullo “stile di vita” che approfondiamo adesso, ci offre uno strumento, fra tanti altri, per esercitare il discernimento, nel cammino di crescita e maturazione personale della nostra risposta alla chiamata di Gesù.

Papa Francesco, nella sua Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium ha dedicato ben cinque numeri al tema: “L’accompagnamento personale dei processi di crescita” e che vengono ad offrirci un bel orientamento e una grande luce per riflettere, dialogare e valutare come siamo “accompagnate”, cosa è l’”accompagnamento spirituale”, come ci “lasciamo accompagnare” ma anche come “siamo accompagnatrici” per altre persone, siano consorelle, siano laici. Perciò, lascio a Papa Francesco la parola[1]:

169. In una civiltà paradossalmente ferita dall’anonimato e, al tempo stesso, ossessionata per i dettagli della vita degli altri, spudoratamente malata di curiosità morbosa, la Chiesa ha bisogno di uno sguardo di vicinanza per contemplare, commuoversi e fermarsi davanti all’altro tutte le volte che sia necessario. (…) La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa “arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro. Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana.

170. Benché suoni ovvio, l’accompagnamento spirituale deve condurre sempre più verso Dio, in cui possiamo raggiungere la vera libertà. Alcuni si credono liberi quando camminano in disparte dal Signore, senza accorgersi che rimangono esistenzialmente orfani, senza un riparo, senza una dimora dove fare sempre ritorno. Cessano di essere pellegrini e si trasformano in erranti, che ruotano sempre intorno a sé stessi senza arrivare da nessuna parte. L’accompagnamento sarebbe controproducente se diventasse una specie di terapia che rafforzi questa chiusura delle persone nella loro immanenza e cessi di essere un pellegrinaggio con Cristo verso il Padre.

171. Più che mai abbiamo bisogno di uomini e donne che, a partire dalla loro esperienza di accompagnamento, conoscano il modo di procedere, dove spiccano la prudenza, la capacità di comprensione, l’arte di aspettare, la docilità allo Spirito, per proteggere tutti insieme le pecore che si affidano a noi dai lupi che tentano di disgregare il gregge. Abbiamo bisogno di esercitarci nell’arte di ascoltare, che è più che sentire. La prima cosa, nella comunicazione con l’altro, è la capacità del cuore che rende possibile la prossimità, senza la quale non esiste un vero incontro spirituale. L’ascolto ci aiuta ad individuare il gesto e la parola opportuna che ci smuove dalla tranquilla condizione di spettatori. Solo a partire da questo ascolto rispettoso e capace di compatire si possono trovare le vie per un’autentica crescita, si può risvegliare il desiderio dell’ideale cristiano, l’ansia di rispondere pienamente all’amore di Dio e l’anelito di sviluppare il meglio di quanto Dio ha seminato nella propria vita. (…)

172. Chi accompagna sa riconoscere che la situazione di ogni soggetto davanti a Dio e alla sua vita di grazia è un mistero che nessuno può conoscere pienamente dall’esterno. Il Vangelo ci propone di correggere e aiutare a crescere una persona a partire dal riconoscimento della malvagità oggettiva delle sue azioni, ma senza emettere giudizi sulla sua responsabilità e colpevolezza. In ogni caso un valido accompagnatore non accondiscende ai fatalismi o alla pusillanimità. (…) La personale esperienza di lasciarci accompagnare e curare, riuscendo ad esprimere con piena sincerità la nostra vita davanti a chi ci accompagna, ci insegna ad essere pazienti e comprensivi con gli altri e ci mette in grado di trovare i modi per risvegliarne in loro la fiducia, l’apertura e la disposizione a crescere.

173. L’autentico accompagnamento spirituale si inizia sempre e si porta avanti nell’ambito del servizio alla missione evangelizzatrice. La relazione di Paolo con Timoteo e Tito è esempio di questo accompagnamento e di questa formazione durante l’azione apostolica. (…) Tutto questo si differenzia chiaramente da qualsiasi tipo di accompagnamento intimista, di autorealizzazione isolata. I discepoli missionari accompagnano i discepoli missionari.

Apriamo il nostro dialogo valutando come siamo accompagnate e come accompagniamo le persone? Cosa dovremo purificare perché l’accompagnamento dia i veri frutti spirituali che aspettiamo, in noi e negli altri? 

Buona riflessione!


[1] Cfr. Papa Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, n° 169 a 173.

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30 dicembre

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E' online il PUZZLE della Superiora generale per il mese di GENNAIO 2014:

 

Esercitare il discernimento nello Spirito, personale e comunitario, a tutti livelli, specialmente di fronte alle grandi scelte.

(Dimensione sacerdotale: n° 12, pag. 49)

 

 

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Pubblicato in 2013
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